La miocardiopatia dilatativa è una malattia primitiva del miocardio caratterizzata da dilatazione progressiva del ventricolo sinistro (o di entrambi i ventricoli) e da una disfunzione sistolica non attribuibile a un sovraccarico di pressione o volume, come accade nelle cardiopatie ipertensive o valvolari. Il ventricolo dilatato perde progressivamente la capacità di contrarsi in modo efficace, determinando un declino della frazione di eiezione e una riduzione del volume di sangue pompato in circolo.
Questa condizione si distingue dalle altre miocardiopatie per la predominanza del rimodellamento ventricolare eccentrico, con un aumento del diametro della camera ventricolare che non è accompagnato da un’adeguata ipertrofia compensatoria. Il risultato finale è una riduzione della performance contrattile, con compromissione della gittata cardiaca e progressiva attivazione di meccanismi di compenso neuro-ormonali, che nel lungo termine aggravano il danno miocardico.
La miocardiopatia dilatativa è la forma più comune di cardiomiopatia primaria e costituisce una delle principali cause di insufficienza cardiaca cronica.
La prevalenza nella popolazione generale è stimata intorno a 1 caso ogni 250 individui, con un’incidenza annua di circa 7-10 casi per 100.000 abitanti.
La malattia può colpire individui di ogni età, ma si manifesta più frequentemente tra i 20 e i 50 anni. È più comune nel sesso maschile, con un rapporto di circa 3:1 rispetto alle donne. Tale differenza sembra essere legata a fattori ormonali, genetici e a una maggiore esposizione a fattori di rischio ambientali.
Nei paesi industrializzati, la miocardiopatia dilatativa è responsabile di circa il 40% dei casi di insufficienza cardiaca non ischemica ed è la prima causa di trapianto cardiaco nell’adulto. Il miglioramento delle tecniche diagnostiche, in particolare della genetica molecolare, ha permesso di riconoscere un numero crescente di forme familiari, rendendo fondamentale lo screening dei parenti di primo grado nei pazienti affetti.
La miocardiopatia dilatativa è il risultato di un progressivo rimodellamento ventricolare che compromette la funzione di pompa del cuore. In condizioni normali, l’aumento del volume ventricolare in diastole consente di mantenere una gittata sistolica adeguata attraverso il meccanismo di Frank-Starling: maggiore è l’allungamento delle fibre miocardiche in diastole, maggiore sarà la forza di contrazione. Tuttavia, nella miocardiopatia dilatativa, la dilatazione eccessiva delle camere cardiache determina un superamento del limite fisiologico di questo meccanismo, portando a una progressiva perdita della contrattilità.
La conseguenza immediata di questo processo è una riduzione della frazione di eiezione, che porta a una ridotta perfusione periferica e a una serie di risposte compensatorie. Il sistema nervoso simpatico e il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) vengono attivati nel tentativo di aumentare la contrattilità e la ritenzione di liquidi per mantenere la pressione arteriosa e la perfusione degli organi vitali. Tuttavia, questi meccanismi, se prolungati, contribuiscono al peggioramento del danno miocardico attraverso un effetto cronico di sovraccarico e di fibrosi interstiziale.
Un aspetto fondamentale della fisiopatologia della miocardiopatia dilatativa è la progressiva alterazione della geometria ventricolare. Con l’aumento del diametro ventricolare, si verifica un dislocamento dell’anello mitralico, che impedisce la corretta coaptazione dei lembi valvolari e determina una insufficienza mitralica funzionale. Questo peggiora ulteriormente la dilatazione ventricolare e favorisce l’instaurarsi di un circolo vizioso di deterioramento della funzione cardiaca.
Inoltre, la riduzione della contrattilità ventricolare favorisce la stasi del sangue, soprattutto a livello dell’apice del ventricolo sinistro, creando un ambiente predisponente alla formazione di trombi murali. Questi possono frammentarsi e determinare eventi tromboembolici sistemici, con gravi conseguenze come ictus ischemico o embolie arteriose periferiche.
Con il progredire della malattia, il sovraccarico pressorio si trasmette al circolo polmonare, causando un incremento delle pressioni di riempimento atriali e, nei casi avanzati, lo sviluppo di ipertensione polmonare secondaria. Questa condizione porta progressivamente al coinvolgimento del ventricolo destro, determinando un peggioramento della funzione biventricolare e un ulteriore aggravamento del quadro clinico.
L’anamnesi di un paziente con miocardiopatia dilatativa deve essere accurata e orientata a identificare sia i sintomi specifici della malattia sia eventuali fattori predisponenti. È fondamentale indagare la storia familiare, poiché circa il 30-50% dei casi riconosce una base genetica. La presenza di parenti con insufficienza cardiaca, aritmie, morte cardiaca improvvisa o trapianto cardiaco deve far sospettare una forma familiare.
Va inoltre indagata la presenza di fattori tossici o cause acquisite, come abuso di alcol, uso di sostanze cardiotossiche (antracicline, cocaina), pregresse infezioni virali sospette per miocardite o patologie sistemiche che possono secondariamente coinvolgere il miocardio (emocromatosi, amiloidosi, sarcoidosi, distiroidismi).
Il paziente può riferire una progressiva intolleranza allo sforzo, spesso sottovalutata nelle fasi iniziali, seguita da un peggioramento con la progressiva comparsa di sintomatologia correlata al grado di disfunzione sistolica.
Il paziente può inizialmente non presentare disturbi, ma con l’avanzare della malattia compaiono:
All’esame obiettivo, nei pazienti con miocardiopatia dilatativa avanzata si possono rilevare segni di cardiomegalia, insufficienza valvolare funzionale e alterazioni emodinamiche.
La palpazione dell’itto della punta evidenzia un spostamento laterale e verso il basso del punto di massimo impulso cardiaco, segno dell’aumento volumetrico del ventricolo sinistro. L’auscultazione cardiaca può rivelare un terzo tono (S3), indicativo di un riempimento ventricolare alterato, e un soffio olosistolico all’apice, segno di insufficienza mitralica secondaria. Nei pazienti con evoluzione verso la disfunzione ventricolare destra, possono essere presenti turgore giugulare, epatomegalia da stasi e edemi declivi.
La diagnosi di miocardiopatia dilatativa richiede un approccio multimodale, basato su esami strumentali volti a confermare la dilatazione ventricolare e la disfunzione sistolica, escludendo altre patologie cardiache secondarie.
La diagnosi di miocardiopatia dilatativa è basata sulla combinazione di criteri clinici e accertamenti strumentali.
Il riscontro ecocardiografico di ventricolo sinistro dilatato con ridotta frazione di eiezione (<40%) in assenza di condizioni secondarie (come cardiopatia ischemica, valvulopatie o ipertensione cronica) è sufficiente per porre diagnosi di miocardiopatia dilatativa.
Nei pazienti con storia familiare positiva, l’esecuzione di un test genetico è raccomandata per confermare una forma ereditaria.
L’angiografia coronarica può essere indicata nei soggetti con sospetta cardiopatia ischemica sottostante, mentre la risonanza magnetica cardiaca è utile per escludere patologie infiltrative o fibrotiche.
Il trattamento della miocardiopatia dilatativa si basa su strategie volte a ridurre il rimodellamento ventricolare, migliorare la funzione sistolica e prevenire le complicanze. La terapia comprende approcci farmacologici, dispositivi impiantabili e, nei casi più avanzati, il trapianto cardiaco.
Il cardine del trattamento farmacologico è rappresentato da farmaci che modulano il sistema renina-angiotensina-aldosterone e il sistema nervoso simpatico, riducendo il sovraccarico emodinamico e migliorando la performance miocardica.
I farmaci più utilizzati sono:Nei pazienti con frazione di eiezione severamente ridotta e rischio elevato di morte improvvisa, sono indicati dispositivi in grado di prevenire aritmie maligne e migliorare la sincronizzazione ventricolare.
Nei pazienti con scompenso cardiaco refrattario alla terapia farmacologica e con progressivo deterioramento della funzione ventricolare, il trapianto cardiaco rappresenta l’unica opzione risolutiva. L'indicazione viene valutata caso per caso, considerando criteri di selezione stringenti per garantire la disponibilità dell’organo a chi ne ha maggiore necessità.
La prognosi della miocardiopatia dilatativa è variabile e dipende dalla gravità della disfunzione ventricolare, dalla risposta alla terapia e dalla presenza di complicanze.
Con l’ottimizzazione del trattamento, la sopravvivenza a 5 anni è significativamente migliorata, raggiungendo il 50-70% nei pazienti con terapia medica avanzata.
Nei pazienti con forme genetiche aggressive o con rapida progressione della malattia, l’outcome è peggiore. L’identificazione precoce e il trattamento tempestivo sono fondamentali per migliorare la qualità di vita e ridurre la mortalità.
Le complicanze della miocardiopatia dilatativa derivano principalmente dalla progressione della disfunzione ventricolare e dalle alterazioni strutturali del miocardio. Le principali includono:
Nei pazienti con grave disfunzione ventricolare, il rischio di aritmie ventricolari maligne, come tachicardia ventricolare sostenuta o fibrillazione ventricolare, è elevato. Queste aritmie possono causare morte cardiaca improvvisa, specialmente nei pazienti con FE <35%. Per questo motivo, nei soggetti a rischio è raccomandato l’impianto di un ICD.
La dilatazione ventricolare e la ridotta contrattilità favoriscono la stasi ematica, predisponendo alla formazione di trombi murali, più frequentemente nell’apice del ventricolo sinistro. Questi trombi possono embolizzare causando ictus ischemico o embolie sistemiche. Nei pazienti con rischio trombotico elevato è indicata la terapia anticoagulante.
La dilatazione ventricolare determina una alterazione della geometria cardiaca, con dislocamento dell’anello mitralico e conseguente insufficienza mitralica funzionale. Questa condizione aggrava la dilatazione ventricolare e peggiora la sintomatologia, contribuendo alla progressione dello scompenso cardiaco.
L’aumento delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro si trasmette all’atrio sinistro e successivamente alla circolazione polmonare, determinando ipertensione polmonare secondaria. Nei casi avanzati, il sovraccarico pressorio si estende al ventricolo destro, causando la sua progressiva disfunzione con comparsa di sintomi di congestione sistemica (edemi declivi, ascite, epatomegalia da stasi).